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Tutto iniziò da quel finestrino

La storia di Kurt Rosenberg

È la notte del 13 aprile 1940. Kurt Rosenberg, ebreo polacco di appena 20 anni, figlio del Capitano Herman Rosenberg, viene trascinato fuori casa dalla NKVD, la polizia segreta sovietica, e insieme alla madre e al fratello minore viene portato con un camion alla stazione di Leopoli. Qui vengono caricati su un treno merci, dove sono ammassate altre famiglie di ufficiali polacchi arrestati in precedenza.
Nel suo carro ci sono ben 40 persone: alcune si sono sdraiate sul pavimento, altre sulle assi poste sopra, da cui si può vedere fuori attraverso una minuscola apertura. Nessuno sa dove sia diretto il treno. Kurt decide di arrampicarsi e da quel finestrino vede che un soldato russo fa da sentinella, camminando lungo il binario e tenendo sulla spalla il suo fucile con la baionetta attaccata. Alle 6 del mattino, quando il soldato volta le spalle al carro, Kurt senza pensarci due volte si infila nel finestrino e salta giù. Da questo momento comincia una vera e propria fuga verso l’ignoto.
Un susseguirsi di peripezie sotto i bombardamenti tedeschi, l’internamento nell’Italia fascista e la partecipazione alla guerra di Liberazione nel II Corpo d’Armata polacco… sono solo parte degli eventi che conducono Kurt e alcuni suoi amici verso la libertà.
Il racconto potrebbe sembrare un romanzo d’avventura, ma è invece la vera storia di Kurt, che è riuscito ad evitare le deportazioni staliniane e a sopravvivere alla Shoah grazie a tanto coraggio, capacità d’iniziativa e anche alla straordinaria solidarietà di numerose persone, soprattutto italiane, che ha conosciuto durante il suo lungo viaggio.

Stralci del libro

Leggi qualche estratto

L’arresto di papà

9 dicembre 1939. Nella notte, due agenti della NKVD (la polizia segreta sovietica) irrompono nel nostro appartamento a Leopoli con un mandato di cattura per mio padre, in quanto ufficiale polacco. Prendono dal comodino un orologio d’oro con catenina e al suo posto lasciano una “ricevuta” su cui c’è scritto (in russo, ovviamente) “un orologio di colore giallo”. Poi ordinano a papà di togliersi l’anello nuziale e lo consegnano a mamma. CONTINUA A LEGGERE

Belgrado, sotto le bombe della Luftwaffe

6 aprile 1941. La mattina presto veniamo svegliati da boati fortissimi. Il nostro ristorante si trova al piano terra e ha un’uscita sul cortile dell’edificio. Corriamo fuori e vediamo dozzine di aerei tedeschi volare molto bassi e sganciare bombe sopra di noi. Una di queste esplode proprio davanti alla casa dove alloggiamo. Lo spostamento d’aria è impressionante e strappa via a Janek gli occhiali dal naso. Non riesce più a trovarli. Il collo di Hugo sta versando sangue; è stato ferito da un pezzo di vetro proveniente dalle finestre dei piani superiori. Horowitz, che era in bagno al momento del bombardamento, è caduto dal “trono” e si precipita fuori, terrorizzato, con i pantaloni in mano. Romek è sconvolto: non si dà pace per aver lasciato Herta da sola a Sabac. Dopo qualche minuto, le sirene annunciano la fine del raid. In fretta ci vestiamo, per andare subito alla legazione polacca, che si trova abbastanza vicino. CONTINUA A LEGGERE

Lubiana

11 maggio 1941. Il viaggio in treno da Sussak a Lubiana non presenta difficoltà; ora ci troviamo in Slovenia, sotto occupazione italiana.
È una bella giornata di sole e l’atmosfera in città è rilassata, come se qui non ci fosse la guerra. Solo di tanto in tanto vediamo qualche gruppo di soldati italiani passeggiare per il centro. Comunichiamo facilmente con la popolazione locale; la lingua slovena è assai simile al polacco, molto più del serbo o del croato.
Non sappiamo dove andare a dormire, finché troviamo alloggio in… un bordello! Alla reception sono molto gentili: non ci chiedono nemmeno di mostrare i documenti e per pochi soldi ci assegnano due piccole stanze. CONTINUA A LEGGERE

Torricella Peligna

15 settembre 1943. A Villa Santa Maria il caos è diventato ogni giorno più grande; si vedono persone in fuga in tutte le direzioni. I soldati italiani disertano in massa, volendo tornare a casa il prima possibile. C’è molto movimento di truppe tedesche sulle strade. In considerazione di ciò che sta succedendo, decido di andare a Torricella Peligna. Questa città è più lontana dalle strade principali, rispetto a Villa Santa Maria; il pericolo di cadere nelle mani dei tedeschi dovrebbe essere minore. Inoltre i torricellani, a differenza degli abitanti di Villa S. Maria, sono per lo più antifascisti e dovrebbero essere quindi ostili ai tedeschi. CONTINUA A LEGGERE

A Marina di Taranto

Tutto il gruppo dei dimessi viene trasferito dall’ospedale al campo per la convalescenza, distante circa 20 chilometri. Si trova in un bosco in riva al mare e anche qui veniamo alloggiati in grandi tende, assai confortevoli. Vigono le seguenti regole: nella prima settimana, permanenza nel campo; nella seconda settimana, permesso di uscita dal campo, ma con obbligo di rientro notturno; nella terza settimana, permesso di uscita pure di notte. Al termine di questo periodo dovrei venir trasferito alla 7ª Divisione, che è la base permanente del 2° Corpo d’Armata. CONTINUA A LEGGERE